Nonostante le nostre abitudini lavorative, lo smart working non è poi cosa dell’altro mondo. Basta spostarsi infatti in Paesi vicini come Germania o Inghilterra per capire come questo nuovo modo di lavorare sia la soluzione all’insoddisfazione che spopola in Italia quando si parla di lavoro.
Il fatto è anche che di smart working in Italia se ne parla poco. Un po’ perché probabilmente non si ha piena coscienza di ciò che significa e un po’ perché si pensa erroneamente che questo non possa portare benefici sia alle aziende che ai lavoratori.
Cos’è lo smart working?
Per capire perché tanti italiani lo desiderano e perché gli imprenditori dovrebbero adottarlo dobbiamo capire bene di cosa si tratta. Lo smart working è letteralmente il “lavoro agile”, ovvero una modalità di esecuzione caratterizzata dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro. Una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto, come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone.
Lo smart working è meglio per tutti
Per le aziende perché:
- si potrebbe arrivare a un +20% di produttività dei lavoratori, sia in termini di qualità che di quantità
- ci sarebbe una significativa riduzione dei costi di gestione dello spazio fisico (circa il 30%)
- significa riduzione del tasso di assenteismo
- significa risparmio economico aziendale, fino a 1200 euro a dipendente già praticando un paio giorni a settimana di smart working (basta pensare al consumo di corrente)
- significa meno spreco di risorse da parte dell’azienda, vedi riscaldamento, cancelleria, corrente elettrica, usura dei dispositivi
Per i lavoratori perché:
- significa risparmio di tempo, che normalmente sarebbe dedicato al lavoro (circa 172 ore per ogni lavoratore)
- porterebbe soddisfazione e motivazione, avere più “tempo libero” darebbe la possibilità di bilanciare meglio vita personale e lavorativa
- significa meno inquinamento, basti pensare allo spostamento urbano che interessa ogni giorno le masse di lavoratori
La situazione in Italia
In una società dove non si lavora più per vivere ma si vive per lavorare, gli italiani desiderano un migliore equilibrio tra vita e lavoro. A riportare alcuni dati importanti è il Rapporto Coop 2019 che fa notare come gli italiani sono pronti e vogliono fortemente questo cambiamento lavorativo.
Il 50% desidererebbe lavorare in maniera più flessibile, e il 38% si sente in colpa per il poco tempo che riesce a dedicare a famiglia e amici a favore delle ore che è costretto a dedicare al lavoro. Di conseguenza, i lavoratori italiani che non sono soddisfatti del proprio work-life balance (ovvero dell’equilibrio tra vita e lavoro) sono il 32%.
Siamo rimasti indietro
Nonostante i molteplici benefici che ne ricaverebbero tutti, in Italia sono ancora poche le aziende che adottano una policy di lavoro flessibile, complice una cultura aziendale più “tradizionale”, che però non si accosta più molto bene con la società di oggi.
Eppure non ci si stupisce che sempre più nuove aziende scelgono un rapporto lavorativo flessibile, solo le aziende più lente (e destinate a rimanere tali) restano con il dubbio se lo smart working sia davvero efficace.
La paura è quella che quando il gatto non c’è i topi ballano, ma non c’è niente di più sbagliato. Le aziende migliori sono quelle che responsabilizzano il dipendente. Non dimentichiamoci che, come Maslow insegna, “un lavoratore felice e soddisfatto è più produttivo e più legato all’azienda“.