Il riscaldamento globale alza il Pil dei Paesi più a Nord del mondo

Cambiamenti climatici, riscaldamento globale, inquinamento. Nonostante questo mutamento sia davanti agli occhi di tutti, esistono anche qui i negazionisti. E allora sui giornali si leggono titoloni dal calibro del “Riscaldamento del pianeta? Ma se fa freddo?” (da Libero del 6 maggio 2019). Ma se ad alcuni non basta aprire gli occhi per accorgersi di cosa sta succedendo nel mondo, c’è un modo più tangibile per capirlo. L’economia.

Sì perché con i cambiamenti climatici cambia anche l’economia mondiale. Ed è quello che sta già accadendo. A darne una proiezione chiara è il Rapporto Coop 2019, che tra gli altri argomenti affronta anche questo e prova a immaginare come sarà l’economia del 2100.

Pil: cresce al Nord e cala al Sud

Prendendo in considerazione i Paesi più rilevanti economicamente d’Europa, secondo i dati rilevati dal Rapporto avremo un aumento del Pil in Germania del 63%, del 42% nel Regno Unito, del 10% in Francia. Potrebbe non andare così bene all’Italia e alla vicina Spagna, paesi più a Sud che accuserebbero un calo del prodotto interno lordo rispettivamente del 26% e del 47%.

Certo stiamo parlando di una proiezione al 2100, periodo in cui probabilmente vedremo come il riscaldamento globale è stato d’impatto anche sull’economia. Globalmente parlando, si stima la perdita del 23% del Pil pro capite proprio a causa dell’aumento della temperatura media.

Perché il clima cambia l’economia?

Analizzare tutti i fattori coinvolti in questo mutamento globale sarebbe un’impresa titanica. Ma vale la pena porre l’accento su diversi fattori che normalmente non sembrerebbero essere fondamentali. Le rotte commerciali per esempio.

Perché dallo scioglimento dei ghiacciai ne guadagnerebbero in risorse i Paesi più a nord del mondo? Proprio perché cambiano le rotte. Con lo sfruttamento maggiore della rotta artica, non più impercorribile perché bloccata dal ghiaccio, si avrebbe una riduzione tra il 30% e il 50% dei tempi di percorrenza tra i principali porti dell’Oriente e dell’Occidente. Ovviamente i Paesi che ci guadagnerebbero di più sarebbero Russia, Cina e Canada.

Ma non è finita qui. L’apertura di una rotta commerciale artica significherebbe anche 80 milioni di euro in barili di petrolio liberabili dallo scioglimento dei ghiacci. Inoltre, nell’Artico si trova il 30% delle riserve di gas naturale globale.

Chi paga sono i Paesi in via di sviluppo

Per quanto il Nord del mondo possa guadagnarci, c’è poi ovviamente chi da questa situazione ci perde. Sono i Paesi in via di sviluppo. Questo per un motivo molto semplice: maggiore caldo significa minori raccolti e prezzi più alti.

A causa dei cambiamenti climatici si stima che, entro il 2030, i raccolti mondiali caleranno del 25%, il prezzo del frumento salirà del 120% e il prezzo di mais e riso vedrà un incremento del 180%.

Tutto ciò influirà ovviamente anche sulla migrazione. In questo caso si sta parlando di una vera e propria “migrazione ambientale”. Si stima che entro il 2050 ci saranno nel mondo 143 milioni di nuovi migranti. Il 52% dall’Africa Sub-Sahariana, il 24% dall’Asia meridionale e il restante 24% dall’America latina.

E l’Italia?

Il nostro Paese è considerato uno dei più vulnerabili rispetto ai cambiamenti climatici. Tra i luoghi del mondo che potrebbero scomparire per sempre a causa del riscaldamento globale ci sono infatti anche due perle italiane.

E in effetti il cambiamento climatico in Italia è già in atto: aumenta il caldo e le soprattutto sono sempre più frequenti le piogge violente. Dal 2001 ad oggi è stato registrato un aumento di 1,1 gradi della temperatura massima, di 1,3 gradi della media e di 2 gradi della minima. La quantità di precipitazioni rimane invece la stessa, ma aumenta la quantità d’acqua riversata: nel 2001 la massima giornaliera era di 75,4 mm, nel 2018 di 80,7 mm.

Ma l’Italia risponde ai cambiamenti climatici con le energie rinnovabili. Il 35% dell’energia prodotta e il 18,3% di quella consumata è green. Ma c’è ancora tanta strada da fare. Soprattutto se diamo un’occhiata ai fondi dell’Unione Europea per il clima. Dei 19 miliardi di euro assegnati, ne sono stati utilizzati solo 5,3 miliardi. Siamo il primo Paese a beneficiarne e l’ultimo a utilizzarli.

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