Quando si parla di spreco e inquinamento si pensa subito al cibo, alla plastica, ai trasporti, ma anche la moda è un settore molto costoso per il pianeta. Basti pensare che per fabbricare una singola maglietta servono 2700 litri d’acqua e che la produzione di vestiti e scarpe è responsabile dell’8% delle emissioni di gas serra nel mondo. Numeri che rendono il settore tessile il più inquinante dopo quello petrolifero.
E le previsioni per il futuro non sono incoraggianti: secondo il report “Global fashion: green is the new black” di Barclays, entro il 2030 sono attesi aumenti del 50% nel consumo di acqua e del 63% nelle emissioni inquinanti rispetto al 2015. Complice di questo trend il nuovo modello di business fast fashion, che punta su produzioni velocissime e prezzi bassi e che provoca un aumento esponenziale del numero di collezioni.
L’alta moda si mobilita
Eppur qualcosa si muove, a partire dall’alta moda. “Buy Less, Dress Up” è stato l’inno della primavera-estate 2019 di Vivienne Westwood: lei è stata la prima a lanciare una linea di moda cruelty free, libera da pellicce e pelli animali. Stella McCartney invece ha realizzato con Adidas le sneaker vegan e alle ultime sfilate ha portato la collezione più ecologica della storia, con il 75% dei prodotti sostenibili, dal cashmere rigenerato alla nappa eco. In questa direzione si è mossa anche Prada, che ha lanciato la nuova linea Re-Nylon e ha annunciato che entro la fine del 2021 utilizzerà esclusivamente nylon riciclato, mentre Il gruppo H&M ha realizzato borse e scarpe con una speciale pelle vegana ricavata dagli scarti produttivi del vino.
Sono nel complesso più di 300 solamente in Europa i brand e le start up che propongono una moda totalmente eco-friendly: dal 2019 i loro capi di abbigliamenti sono in vendita sull’ e-commerce milanese Slow Nature, che favorisce l’incontro tra domanda e offerta di prodotti sostenibili e di alta qualità.