Altro che “nouvelle cuisine”, alla Rice University di Manchester si cucina elettronica da mangiare. Un’èquipe di scienziati, coordinata dal chimico James Tour, ha appena messo a punto una tecnica per scrivere su oggetti di uso quotidiano, perfino sui cibi. Tutto questo è reso possibile dal grafene, il mirabolante materiale già definito “delle meraviglie”, sottilissimo e ultraresistente, con cui fare scarabocchi anche su ciò che mangiamo.
I ricercatori di Manchester sono riusciti a preparare toast e panini con incisioni che rappresentano animali e lettere dell’alfabeto e poi hanno pubblicato la “ricetta” sulla rivista “Acs Nano”. In realtà l’entrata in società del grafene è avvenuta nel 2004, grazie al lavoro di Andrej Gejm e Konstantin Novoselov, premiati con il Nobel per la fisica sei anni dopo la scoperta.
Il grafene è un materiale sottilissimo dotato però di una resistenza pari a quella del diamante, di una flessibilità come quella della plastica e di un’ottima conducibilità elettrica. Caratteristiche che lo rendono ad oggi il candidato ideale per diventare il protagonista di un’ampia gamma di applicazioni scientifiche e industriali, che spaziano dai transistor ai dispositivi medici, passando per batterie, sensori e pannelli solari.
Intanto tra i banchi della Rice University è stato messo a punto il laser-induced graphene, ovvero proprio quella tecnica per mettere a punto una schiuma di fogli di grafene attraverso un raggio laser. Ma qual è il senso di stampare sul cibo? Secondo la visione di Tour forse in futuro gli alimenti in vendita potranno avere un tag Rfid, ovvero delle etichette microscopiche elettroniche che permettono di memorizzare informazioni relative al prodotto, a base appunto di grafene.
Ma non solo: il materiale delle meraviglie “à la carte” potrebbe anche servire a realizzare sensori che rilevano, per esempio, la presenza di eventuali microrganismi indesiderati, che si illuminano se il cibo è contaminato. E il gusto? Ad oggi non ci è dato sapere altro, ma come si dice: “lo scopriremo solo vivendo”.